lunedì 8 aprile 2013

Weidmann: Cipro è il punto di svolta

Jens Weidmann, intervistato da Deutschlandfunkradio torna a parlare della sua ricetta per risolvere la crisi e conferma: Cipro è un punto di svolta nella storia degli eurosalvataggi. Da dradio.de

Il presidente Bundesbank Jens Weidmann si auspica un nuovo sistema per la gestione delle crisi bancarie nella zona Euro. A questo progetto sta lavorando la Commissione europea. L'obiettivo: creare una "catena di responsabilità" che risparmi il contribuente europeo.

Silvia Engels: Herr Weidmann, l'Eurosistema e la Bundesbank hanno appena attraversato un periodo di grande tensione.  Un paese dell'Eurozona, Cipro, è finito quasi in bancarotta. Lei temeva che alla riapertura delle banche potesse esserci una assalto alle banche?

Weidmann: C'era naturalmente la paura che l'incertezza sul futuro di Cipro potesse influenzare il comportamento dei depositanti ciprioti. Ma con il controllo sui movimenti di capitale erano state prese misure preventive per arginare l'insicurezza. E come ci mostrano i fatti, le misure hanno funzionato.

Non si sono viste lunghe code davanti alle banche. Se ci fossero state, che cosa avrebbe significato per l'intera Eurozona?

Io credo sia importante trarre una lezione da Cipro: le banche potranno essere ristrutturate, nonostante tutte le difficoltà nell'applicare le decisioni prese. E questo è un segnale positivo, perché ci aiuterà a limitare l'incertezza.

Il piano negoziato sarà sufficiente per superare i problemi di Cipro?

Io credo sia importante, e non solo in relazione a Cipro ma in relazione all'intera Eurozona, ricordarsi che gli squilibri sono nati e cresciuti per un lungo periodo di tempo, e quindi non potranno essere risolti in un giorno. La crisi ci farà compagnia ancora per un po' di tempo, perché è necessario affrontarne le cause strutturali. E questo richiede tempo.

Pensa che Cipro avrà bisogno di altra liquidità?

La situazione a Cipro negli ultimi giorni si è stabilizzata. Non mi sentirei di escludere un maggiore fabbisogno di liquidità. Il punto centrale è che la liquidità non risolve i problemi di Cipro. I problemi hanno una natura strutturale, e per il loro superamento è necessario tempo.

Si è deciso che il settore finanziario a Cipro dovrà essere ridimensionato. Ritiene che in futuro sarà possibile coinvolgere anche i creditori, gli azionisti o magari i correntisti? Cipro è un caso unico oppure un modello?

Cipro non puo' essere un modello perché li' il settore finanziario era eccezionalmente grande e anche la struttura di finanziamento delle banche molto diversa da quella degli altri istituti di credito europei. Tuttavia è naturale che nel processo di stabilizzazione del sistema bancario venga applicato un principio di responsabilità, e che quindi chi ha preso le decisioni che hanno portato alla situazione di crisi sia chiamato a risponderne - prima di tutto gli azionisti, poi i creditori e solo alla fine della catena di responsabilità il correntista, e possibilmente non il contribuente, sia quello nazionale che quello europeo.

Quindi secondo la sua proposta, nei prossimi programmi di salvataggio è possibile che i risparmiatori nella parte che eccede i famosi 100.000 € garantiti dallo stato possano subire delle perdite?

Questa non è esattamente la mia idea. Si sta pero' lavorando a livello europeo su di un possibile modello di ristrutturazione bancaria. Si tratta soprattutto di non dover sempre e necessariamente salvare le banche in difficoltà con il denaro del contribuente, e di fare in modo che secondo un principio di responsabilità le banche possano essere ristrutturate, senza per questo rappresentare un problema per l'intero sistema finanziario. Per questa ragione l'obiettivo è rendere possibile le ristrutturazioni bancarie facendone gravare gli oneri su coloro che hanno preso le decisioni che hanno portato a questa difficile situazione. E la commissione sta lavorando proprio a questo, vale a dire una direttiva che possa istituire un quadro normativo per la liquidazione delle banche. 

In concreto come dovrebbe funzionare?

I lavori al momento sono ancora in corso. In particolar modo si tratta di poter definire una corretta catena di responsabilità. E' la catena delle responsabilità prevede sicuramente che gli azionisti, vale a dire coloro che sopportano il rischio d'impresa, dovranno necessariamente farsi carico  dell'onere dell'aggiustamento.

Cio' significa che coloro che in qualsiasi forma hanno investito capitale nelle banche saranno chiamati a pagare. E in caso di difficoltà estrema, si lasceranno anche fallire le banche?

Nella catena delle responsabilità gli azionisti sono al primo posto. Alla fine della catena ci sono i depositanti e i depositi sotto i 100.000 € - garantiti dalla legge EU - che possibilmente non dovranno essere toccati. E la giusta sequenza di responsabilità. L'obiettivo è evitare che le banche in difficoltà debbano essere salvate con il denaro dei contribuenti ed escludere crisi finanziarie future dovute ai rischi eccessivi assunti dalle banche.

Significa che questo è l'inizio della strada che ci porta ad una unione bancaria europea in cui i creditori garantiscono internamente per le possibili perdite? E' la sua idea?

No, questo non è il punto centrale di una unione bancaria. L'unione bancaria, che viene descritta in maniera molto diversa, a mio avviso si compone di due elementi fondamentali. Da un lato una vigilanza bancaria che opera secondo criteri rigorosi e unitari. E dall'altro un sistema per le ristrutturazioni bancarie con il quale le banche potranno essere anche liquidate. A cio' si aggiungono altri elementi, che sicuramente hanno un grande significato, ad esempio elementi regolatori che impediscano alle banche di assumere un livello eccessivo di esposizione verso i titoli di stato. Come del resto è accaduto in passato, fatto che a Cipro ha avuto un ruolo molto importante, ma anche in Grecia.

Il risparmiatore tedesco pensa che i suoi risparmi oltre i 100.000 € potrebbero non essere sicuri. Lei cosa gli direbbe per rassicurarlo?

Per prima cosa bisogna dire che il risparmiatore è anche contribuente. L'alternativa a questo approccio è che il contribuente di ciascun singolo paese o forse in tutta Europa sia chiamato a pagare per errori che hanno fatto  altri. E questa è una situazione che vogliamo evitare, una lezione che ci arriva dalla crisi. Per questo motivo adesso stiamo discutendo di un sistema per le liquidazioni bancarie piu' ragionevole. E questo regime di liquidazione alla fine, insieme ad altre regole, farà in modo che i depositi bancari possano essere considerati sicuri. Ad esempio, con le nuove regole sul capitale proprio chi si trova all'inizio della catena di responsabilità, vale a dire gli azionisti, avrà una funzione di buffer da cui in caso di problemi si dovrà attingere. Questo deve essere il nostro obiettivo. Che non significa far sostenere agli investitori l'onere di decisioni economiche sbagliate o di fallimenti bancari. Il vero obiettivo sarà rendere il sistema bancario piu' stabile attraverso una vigilanza piu' attenta e un maggiore capitale proprio. Solo se necessario si arriverà alla liquidazione delle banche, fatto che renderebbe il  comportamento bancario piu' sensibile verso i rischi.

Ma anche se il risparmiatore è in fondo alla catena delle responsabilità, continuerà a preoccuparsi in quanto non potrà mai sapere quanto è sicura la banca in cui ha depositato i suoi risparmi.

Per questa ragione stiamo lavorando per rendere il sistema piu' stabile. Capisco perfettamente che i depositanti dopo la discussione sul salvataggio di Cipro sono diventati piu' insicuri. Possiamo pero' combattere queste incertezze in un solo modo: dobbiamo mostrare che attraverso le diverse regole che stiamo discutendo queste situazioni difficili che causano una perdita anche per i depositanti, sono meno probabili e che il sistema nel suo complesso è diventato piu' sicuro.

Dall'altro lato l'incertezza dei depositanti potrebbe portare alla fugua dei capitali. Non crede che i capitali possano fuggire dalla zona Euro?

Non credo che la fuga di capitali verso i paradisi fiscali sia collegata al tema delle liquidazioni bancarie.

Sicuramente fra coloro che hanno depositato il loro denaro a Cipro ci saranno alcuni che ora rimpiangono il fatto di non averlo portato alle Cook-Islands

Io non so se il sistema bancario alle Isole Cook alla fine è piu' sicuro di quello nella zona Euro. Io credo che il concetto principale resta lo stesso: il tasso di interesse è collegato in maniera diretta con il livello di rischio a cui ci si espone. Quando un investitore riceve un interesse elevato, nella maggior parte dei casi, è perché sta assumendo un rischio maggiore. Questo, a mio parere, è un concetto molto importante. In aggiunta, tutti gli sforzi di regolamentazione sono finalizzati a rendere il sistema finanziario piu' sicuro, sia per il risparmiatore che per il contribuente.

Il contribuente fino ad ora ha sostenuto le ristrutturazioni bancarie perché si diceva che le banche avevano rilevanza sistemica. A sentirla parlare questo principio non sembra piu' valido.

Si' certo questo è ancora un problema. Ma l'esempio di Cipro ci mostra che le banche possono essere liquidate senza mettere in pericolo l'intero sistema. E questo è un elemento positivo. Tuttavia resta il problema: le banche possono essere troppo collegate oppure troppo grandi per essere liquidate senza pericolo per l'intero sistema. E per questa ragione le banche dovranno essere sorvegliate in maniera particolarmente attenta e dovranno valere anche le nuove regole sulla capitalizzazione. Avranno l'obbligo di detenere una quantità maggiore di capitale proprio come buffer per coprire i rischi.

Piu' capitale, e meno rischi, è una cosa. Dall'altro lato pero' si parla sempre piu' spesso di una garanzia europea sui depositi. E qui crescono le preoccupazioni del contribuente tedesco, che dovrà garantire anche i depositi presso le banche in difficoltà

Si, condivido le preoccupazioni. Un'assicurazione comune sui depositi significherebbe un'ampia messa in comune delle garanzie e cio' non è certamente appropriato al sistema attuale. A fronte di questa garanzia, non esiste un corrispondente controllo. Non posso certo garantire per qualcosa su cui non ho alcun controllo. Le Banche o i bilanci bancari alla fine sono uno specchio dell'economia nel suo complesso. In essi si riflettono gli andamenti congiunturali dell'economia e in essi si rispecchia la solidità delle finanze pubbliche dei singoli paesi.

E per tali rischi potro' garantire solo se avro' la possibilità di esercitare un controllo complessivo. E fino a quando questo controllo non esiste, una messa in comune delle garanzie bancarie ci condurrebbe ad un sistema non coerente e ad una eccessiva assunzione di rischi. Per queste ragioni non me la sentirei di sostenerlo.

Secondo alcuni la BCE durante la crisi di Cipro ha lanciato un vero e proprio ultimatum all'isola mediterranea in merito alla fornitura di ulteriore liquidità, fatto che ha condotto Cipro ad accettare le condizioni dell'Eurogruppo. La BCE ha oltrepassato il proprio mandato?

Prima di tutto è vero che la BCE e l'Eurosistema forniscono liquidità solo sulla base delle proprie regole. E queste regole non permettono di continuare il finanziamento in determinate condizioni. E' un compito della politica fiscale. Alla fine arriviamo al punto veramente importante: è necessario separare la politica monetaria dai compiti di politica fiscale. E un altro punto rilevante è che l'indipendenza della banca centrale è fondamentale per mantenere la stabilità dei prezzi. L'indipendenza è giustificata solo quando la banca centrale ha un mandato molto limitato. E questo mandato è definito nei trattati EU e a questo mandato dobbiamo attenerci.

La decisione è stata giusta?

Riteniamo che l'offerta di liquidità debba essere soggetta a determinate regole. Con la liquidità di emergenza non potremmo finanziare una situazione di crisi che uno stato o la comunità degli stati potrebbero risolvere solo attraverso un programma di aiuti.

Anche il capo-economista del FMI Blanchard ha messo in guardia da un eccesso di potere tecnocratico nelle banche centrali indipendenti. Quando le competenze della banca centrale sono cosi' ampie, è necessario esercitare una maggiore influenza politica?

Nel corso della crisi abbiamo assistito ad un ampliamento del ruolo delle banche centrali. Abbiamo ricevuto un nuovo mandato, sia in Germania che a livello europeo, un mandato potenzialmente ampio, che ci assegna una responsabilità nella stabilizzazione del sistema finanziario. La BCE otter inoltre le funzioni della vigilanza bancaria. In molti considerano le banche centrali il solo attore in grado di negoziare e decidere durante la crisi. In cio' io vedo il pericolo che il compito della banca centrale venga esteso. La crisi potrà essere risolta solo dalla politica europea, affrontando le cause strutturali della crisi, e non attraverso la politica monetaria.

Questa crescita dei compiti e delle attese ci conduce ad una politicizzazione della banca centrale che puo' distrarre dal nostro obiettivo principale: la difesa della stabilità dei prezzi. Ed è molto importante - un punto da me sempre ribadito - chiarire ancora una volta che il nostro obiettivo è la difesa della stabilità dei prezzi. Non ci facciamo distrarre nel percorso per raggiungere questo obiettivo e non ci facciamo coinvolgere troppo nel campo della politica fiscale. Se la banca centrale accetta compiti di politica fiscale e  redistribuisce i rischi fra i contribuenti dei singoli paesi, ad esempio con i programmi di acquisto di titoli di stato, non mi posso allora meravigliare se ci sono voci che dicono: questo ambito dovrebbe appartenere al controllo democratico, è il dominio dei parlamenti e dei governi. Pertanto è importante restare fuori da questo ambito.

Da tempo lei mette in guardia da un tale programma di acquisto di titoli pubblici. Ma se la BCE non avesse agito, la crisi non si sarebbe mai calmata. Le sue argomentazioni sono sempre a medio termine, ma cosa possiamo fare nel breve periodo? Coloro che sostengono una politica monetaria piu' espansiva, non hanno ragione?

Da un lato Cipro ci mostra che la crisi non è superata né risolta con l'annuncio, piuttosto che la crisi ha cause strutturali, che potranno essere superate solo attraverso l'azione politica. Questo è un punto. L'altro punto è che con il programma di acquisto dei titoli di stato, iniziato già nel maggio 2010, possiamo trattare solo i sintomi della crisi, ma non le cause. E questa terapia sui sintomi, come un antidolorifico, porta con sé effetti collaterali e spinge la banca centrale nel territorio della politica fiscale, se si decidesse di seguire le richieste da lei appena menzionate.

E non credo nemmeno vera l'affermazione secondo cui la banca centrale è il solo attore in grado di agire. Esiste l'ESM, fondato esattamente con questi compiti, vale a dire mettere a disposizione dei paesi in crisi un finanziamento d'emergenza per tutta la durata del processo di aggiustamento.  L'approccio "aiuti condizionati", per il quale l'ESM è stato creato, dovrebbe essere in grado di funzionare. Pertanto la non azione della banca centrale o il non acquisto dei titoli di stato non porta necessariamente ad una escalation della crisi, ma costringe la politica ad agire con i propri strumenti. E per questo è legittimata. Si tratta di una decisione politica.

E' possibile che nel medio periodo anche la Slovenia abbia bisogno di un antidolorifico, vediamo infatti che nel frattempo gli interessi sui titoli di stato sono cresciuti. La BCE dovrà intervenire di nuovo?

I problemi dei singoli paesi non potranno essere risolti dalla banca centrale. Coinvolgere la banca centrale in questi salvataggi comporta rischi molto elevati. Se la Slovenia ha delle esigenze di finanziamento - parliamo di deficit pubblici o di liquidazioni bancarie - allora il giusto destinatario è il fondo ESM, cioè il fondo di salvataggio. Per le banche centrali il finanziamento degli stati è proibito dai trattati. E lo è per buoni motivi: in passato abbiamo visto che questa politica suscita desideri che alla fine possono distrarre dall'obiettivo della difesa dei prezzi.

Ma ora abbiamo alcuni paesi Euro, recentemente l'Italia, il Belgio ma anche la Slovenia che non riusciranno a raggiungere i loro obiettivi di risparmio. Dipende dal fatto che non sono state fatte sufficienti riforme o che la fase di recessione europea nella zona Euro rende difficili queste politiche?

Dipende da entrambi i fattori. Naturalmente il bilancio pubblico di uno stato dipende dallo sviluppo congiunturale, ma vediamo che in alcuni paesi lo zelo riformatore o la volontà di fare tagli e riforme è venuta meno. E questo è il problema.

Si riferisce all'Italia?

La pressione ad agire puo' essere ridotta anche dalle misure della banca centrale. Soprattutto se esiste una via di uscita piu' comoda da percorrere con il finanziamento della banca centrale. E questa diminuzione della pressione puo' far si' che le vere cause della crisi non siano affrontate.

E' una critica all'Italia per lo stallo attuale?

In Italia prima di tutto è necessaria la formazione di un governo in grado di agire. Questo è il problema centrale. Dal  punto di vista della politica fiscale al momento è in azione il pilota automatico, se lo vuole chiamare cosi', che non è certo la situazione peggiore. Allo stesso tempo a causa della mancanza di un governo c'è una certa insicurezza che non aiuta a creare il clima di fiducia necessario per affrontare i problemi.

Il problema nella zona Euro non è che abbiamo poca liquidità o che la banca centrale non è sufficientemente attiva. Abbiamo tassi ai minimi storici, e ogni banca riceve tutta la liquidità di cui ha bisogno. I problemi riguardano molto di piu' la mancanza di competitività in alcuni paesi e i dubbi sulla sostenibilità delle finanze pubbliche. Ma questo potranno farlo solo i governi.

Per quanto tempo ancora vivremo le conseguenze della crisi debitoria?

Io sono del parere che la crisi non possa essere misurata in mesi, ma ci terrà occupati ancora per anni, perché il recupero della competitività e il consolidamento delle finanze statali sono sfide complesse e di vasta portata che ci impegneranno ancora a lungo. 







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domenica 7 aprile 2013

L'importanza di avercelo grande (il patrimonio privato)


Nell'interminabile gara europea a chi ce l'ha piu' lungo, grazie ad un'analisi targata Bundesbank uscita con grande tempismo in piena crisi cipriota, i germanici scoprono di avere un patrimonio privato inferiore rispetto ai latini. Die Zeit intervista il grande storico dell'economia Werner Abelshauser, che prova a spiegarne le ragioni storiche.
Oddio: i sudeuropei sono piu' ricchi di noi. Una conversazione con lo storico dell'economia Werner Abelshauser.

Lo studio della Bundesbank sulla distribuzione dei patrimoni in Europa contiene una sopresa: i tedeschi sono solo a metà classifica, dietro spagnoli e italiani. Come è possibile?

Die Zeit: E' crollato un mito tedesco: abbiamo sempre pensato di essere piu' ricchi dei sud-europei, ma in realtà non lo siamo. Perché ci abbiamo creduto davvero?

Werner Abelshauser: Abbiamo creduto a questo mito perché dal 1952 anno dopo anno abbiamo registrato un avanzo commerciale. Per questo pensavamo di essere ricchi. Da questo successo nelle esportazioni è nato una specie di incantesimo. Un dato che sulla prosperità dei cittadini e sui loro patrimoni privati non ci dà molte informazioni.

Abbiamo anche pensato: chi guadagna molto, risparmia anche molto. E' un altro mito destinato a crollare? Oppure questo denaro prima o poi dovrà essere visibile nei patrimoni?

Sicuramente guadagniamo bene, ma l'inflazione se ne mangia una parte. Nell'altro mito c'è qualcosa di vero, in Europa siamo fra quelli che riescono a risparmiare, sebbene lo stato ci dia sicurezza. Forse è l'influenza dell'etica protestante...

...ma ora scopriamo che gli svedesi o i cattolici francesi risparmiano quanto noi, e i francesi, secondo quanto si puo' leggere, hanno in media un patrimonio superiore al nostro...

E' ingannevole, i francesi in media non sono piu' ricchi dei tedeschi occidentali. Il valore medio tedesco ci sembra cosi' basso perchè i patrimoni nella Germania dell'est e dell'ovest sono divergenti.

I patrimoni dei tedeschi sono cosi' bassi perché 16 milioni di tedeschi dell'est nullatenenti abbassano la media?

I tedeschi dell'est non potevano accumulare ricchezze, e non potevano ereditare patrimoni. Tenendo conto di questo, la statistica cambia completamente: i tedeschi dell'ovest sono molto piu' ricchi. O meglio: pochi tedeschi dell'ovest. I patrimoni da noi sono suddivisi fra pochissimi ricchi e tanti relativamente poveri.

Ma allora perché nei paesi in crisi del sud Europa i patrimoni privati hanno assunto dimensioni cosi' considerevoli? Ci sono ragioni storiche o culturali?

Nel sud Europa non si fa affidamento sullo stato sociale. Molto spesso sono i cittadini a dover costituire le riserve necessarie per l'istruzione dei figli, per i casi di malattia, per la vecchiaia. I patrimoni saranno usati per questo. Di fatto i risparmi hanno funzioni previdenziali, che da noi sono assegnate allo stato sociale. Chi in Grecia si vuole operare, va in ospedale con una busta di denaro. Un patrimonio piu' alto puo' essere anche un indicatore di debolezza. Al di fuori del patrimonio individuale o di quello della famiglia, non ci sono sicurezze. A cio' si aggiungono anche dei fattori di breve termine che giustificano la prosperità: il sud ha beneficiato dell'Euro.

Ma questo ancora non ci spiega perché nel sud ci sono molte piu' case di proprietà rispetto alla Germania o all'Austria. 

Questa tradizione è ancora piu' vecchia. L'Europa del sud non ha vissuto, come la Germania, le masse di lavoratori che durante l'industrializzazione hanno dovuto trovarsi un posto nelle aree urbane. Cio' ha portato quasi inevitabilmente ad affittare le abitazioni, non sarebbe stato possibile alloggiare queste masse in maniera diversa. Nel sud invece il familismo ha avuto un ruolo importante, in particolare l'elevato numero di piccole imprese familiari disseminate in questi paesi. Nel sud Europa c'è stata quindi la possibilità di avere case di famiglia di proprietà, spesso ereditate.

La seconda guerra mondiale ha cambiato la situazione patrimoniale dei tedeschi?

Non molto. I milioni di sfollati e rifugiati sono stati integrati nella Germania dell'ovest grazie al Lastenausgleichs (aiuti economici pubblici). Anche se cio' non ha contribuito alla redistribuzione della ricchezza nella Germania dell'Ovest.

E allora da cosa è dipeso il fatto che anche nel dopoguerra in Germania sono stati relativamente in pochi a comprarsi una casa? In una economia sociale di mercato non dovrebbe far parte dell'orgoglio della classe media anche il possesso di un'abitazione?

Il Wirtschaftswunder di fatto ha condotto ad un aumento delle case di proprietà. Ma il grande distacco nei confronti del sud Europa non è mai stato recuperato. Anche perché il mercato degli affitti tedesco, diversamente da Italia e Spagna, a causa degli sviluppi demografici legati all'industrializzazione è sempre stato molto vivace. E questa è diventata la mentalità tedesca: non è necessario comprare una casa. Ci sono buoni motivi anche per restare affittuari. Gli immobili non sempre vanno d'accordo con la libertà degli individui e legano in qualche modo i loro proprietari. 

E quindi vale anche per italiani e spagnoli il tema della limitazione di libertà dovuta al possesso di un immobile ?

Entra in campo una diversa concezione della libertà e diverse abitudini sociali, spesso ereditate. In Italia, ad eccezione delle grandi città, generalmente non si vive in affitto. Perché ormai da secoli si sa che non si puo' fare affidamento sullo stato, ci si rende indipendenti, si vuole restare autarchici. Liberi dallo stato, che spesso viene percepito come ostile.

E quindi  in Germania i patrimoni sono piu' piccoli perché non ci si vuolere rendere indipendenti dallo stato?

Fin dal secolo dei lumi in Germania ci si fida della buona politica dello stato sociale, anche perché a differenza dell'Inghilterra, non c'era una forte borghesia economica che avesse l'orgoglio di fare da sé. In Germania tradizionalmente lo stato è considerato il garante dello sviluppo economico.

Nelle culture europee ci sono allora diverse forme di patrimonio? Lo stato sociale è spesso una parte del patrimonio dei tedeschi. Gli diamo una parte del nostro denaro per il finanziamento delle assicurazioni sociali. 

Ad esempio nei calcoli sul patrimonio non risulta il fatto che ai tedeschi appartengono 700 miliardi di Euro di contributi pensionistici.

E' solo una speranza oppure una vero patrimonio?

La Costituzione lo dice chiaramente: è una proprietà privata. Lo stato non puo' toccarli.

Quanto puo' essere considerata sicura questa ricchezza?

E' un patrimonio garantito da una economia altamente produttiva, la cui forza lavoro dispone di un grande capitale umano immateriale. Grazie all'istruzione e alla formazione in Germania i lavoratori hanno accesso a qualificazioni, conoscenze e competenze che sono molto rare. Lo stato sociale ne garantisce la qualità.

Ma nelle statistiche europee sulla ricchezza non compaiono

Se volessimo trasformare in denaro questo patrimonio saremmo cosi' ricchi da cambiare completamente le statistiche. Nell'Europa del sud l'industria è ancora fordista con una piccola ma forte elite che deve garantire l'impiego produttivo di lavoratori poco qualificati. Un lavoratore specializzato tedesco riesce a trovare in autonomia le giuste soluzioni ai problemi che gli si presentatno. Questa consapevolezza contribuisce a vivere una vita piu' felice. Anche questo dovrebbe far parte di cio' che viene considerato patrimonio.

Allora siamo piu' ricchi degli altri?

Non ci siamo sbagliati, siamo un paese molto ricco. Viviamo in una comunità funzionante, dove per poter vivere felici e sicuri è necessario avere un patrimonio individuale inferiore rispetto ad altre società. Il nostro patrimonio non è espresso solo dal numero di auto o case che possediamo.

Lo studio avrà effetti sulla solidarietà del contribuente europeo?

Non possiamo continuare con questa solidarietà a fondo perduto. E lo studio lo conferma. Ma  per l'Europa sceglere un un sistema alternativo ai cambi fissi imposti dall'Euro potrebbe essere un'alternativa altrettanto valida. L'Europa non ha necesssariamente bisogno dell'Euro come moneta unica. Ma questa è un'altra discussione...
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venerdì 5 aprile 2013

E' la fine del jobwunder?


Nonostante le rassicurazioni del governo, il mercato del lavoro tedesco da mesi mostra segnali di rallentamento. E' davvero la fine del jobwunder? Da Jjahnke.net, con dati della Bundesagentur fuer Arbeit e del Statistisches Bundesamt

L'Arbeitsagentur vorrebbe convincerci che il recupero occupazionale di inizio anno non c'è stato solo a causa del lungo inverno. Anche i media si aggrappano a questa descrizione rosea dei fatti, come del resto fa il telegiornale della sera. E naturalmente fa lo stesso anche il Ministero dell'Economia, in maniera ancora piu' suggestiva, con il suo comunicato stampa:

"Il mercato del lavoro in Germania è in gran forma. Il rigido inverno ha fatto si' che in questa fase dell'anno la disoccupazione scendesse un po' meno del solito. Nel complesso la situazione economica e lo stato d'animo dei consumatori negli ultimi mesi sono sensibilmente migliorati. Ad eccezione della zona Euro, l'economia mondiale è tornata a crescere. L'economia tedesca è all'inizio di una fase di ripresa. Questa nuova fase di crescita avrà inizio in primavera e continuerà durante tutto l'anno. Il trend positivo nel mercato del lavoro si rafforzerà nel corso dell'anno".

I dati tuttavia descrivono una situazione diversa. L'indice relativo al numero di posizioni aperte del Bundesanstalt für Arbeit (Stellenindex) continua a scendere dall'inizio dello scorso anno ed è già al di sotto del livello dello stesso mese di un anno fa. Il numero degli occupati con l'obbligo di assicurazione sociale (no minijob) scende dall'ottobre dello scorso anno.

Indice con il numero di posizioni lavorative aperte del Bundesagentur fuer Arbeit
Numero di occupati in milioni con obbligo di assicurazione sociale (no mini-job) - Statistisches Bundesamt

Se confrontata con i dati dell'anno precedente, la disoccupazione continua a crescere dall'ottobre 2012. Anche i dati destagionalizzati confermano la crescita della disoccupazione, solo con pochissime interruzioni, sin dall'inizio dello scorso anno.
Andamento della disoccupazione rispetto allo stesso mese dell'anno precedente in % (Bundesagentur  fuer Arbeit)
Andamento della disoccupazione in migliaia. La linea nera è il valore relativo al mese, quella verde il  valore destagionalizzato (Fonte Destatis)

Naturalmente si fa di tutto per nascondere questa tendenza negativa. Quando si tratta dei dati sulla disoccupazione si torna ai soliti trucchi statistici. Solo il 56.6 % dei 5.5 milioni di beneficiari di un sussidio di disoccupazione sono ufficialmente registrati come disoccupati. 6 anni fa il valore era del 65%. Molti di questi nel frattempo hanno perso il diritto all'indennità perché non hanno accettato ogni lavoro che veniva loro proposto.

Numero dei disoccupati ufficiali (in blu) Vs. quelli non ufficiali ma che tuttavia ricevono un sussidio di  disoccupazione (in rosso), dati espressi in migliaia.

Sono sempre di piu' inoltre le persone che in Germania escono dal mercato del lavoro in anticipo e per questa ragione subiscono una riduzione della pensione. Secondo i dati del sistema pensionistico tedesco (Deutsche Rentenversicherung) nel 2011 sono state quasi 700.000 le persone che per la prima volta hanno ricevuto una pensione di anzianità. Circa la metà di queste - quasi 337.000 - non hanno ricevuto la pensione completa, perché non hanno lavorato fino al limite dei 65 anni. La quota dei pensionati precoci con un trattamento peggiorativo è salita dal 41.2 % del 2005 al 48.2% attuale. Secondo i dati della Bundesagentur für Arbeit la quota degli occupati fra i 60 e i 64 anni nel mese di giugno dello scorso anno era solo del 29.3%, fra i 64enni era addirittura del 14.2%. D'altronde è necessario considerare che a partire dai 58 anni non si viene piu' considerati disoccupati se entro un anno dalla perdita del lavoro non si riceve almeno un'offerta di lavoro.

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giovedì 4 aprile 2013

Flassbeck: o la Germania aumenta i salari oppure avremo un euro-sud

Il grande economista Heiner Flassbeck, in un'intervista a "Finanz und Wirtschaft", chiede un aumento dei salari tedeschi e propone un Euro-sud come via di uscita dalla crisi: i francesi non accetteranno mai un 20% di riduzione salariale. Da Finanz und Wirtschaft


L'economista Heiner Flassbeck in un'intervista a "Finanz und Wirtschaft" ci spiega perchè all'interno di una unione monetaria è fondamentale che ogni paese allinei i salari alla propria produttività. Al contrario, il debito pubblico non è importante.

Una unione monetaria potrebbe anche funzionare, ci dice Heiner Flassbeck, ex capo-economista dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo (UNCTAD). Non crede pero' che i politici europei si stiano muovendo nella giusta direzione. 

Herr Flassbeck, dopo la debacle di Cipro, che cosa accadrà nella zona Euro?

Sono sempre stato un sostenitore dell'unione monetaria, ma non vedo come possa essere salvata. Le politiche adottate fino ad ora non hanno funzionato, ed è difficile pensare che inizino a farlo ora. Quindi la sola soluzione plausibile sarebbe quella di dividere la zona Euro in due parti.

Come dovrebbe avvenire la separazione?

Un folto gruppo di paesi del sud Europa - Francia inclusa - esce, in questo modo le sofferenze non sarebbero cosi' grandi. Grazie alla svalutazione molte importazioni diverrebbero piu' costose, i sud europei potrebbero continuare ad acquistare auto italiane o francesi dalla stessa zona valutaria. Le auto tedesche sarebbero molto piu' costose - e qui le sofferenze sarebbero maggiori. In poco tempo una parte importante dei mercati di sbocco per l'export tedesco scomparirebbe. Ma in Germania non si riesce a capire questa logica.

Ma il paese dopotutto è ancora il motore economico della zona Euro

La Germania con l'inizio dell'unione monetaria si era prefissata l'obiettivo di migliorare la propria competitività. Si puo' sempre cercare di farlo, ma in normali condizioni il tentativo è destinato a fallire perché la propria valuta finirà per apprezzarsi. Con l'avvento dell'Euro la Germania ha avuto l'opportunità, unica nella sua storia, di migliorare la propria competitività senza ricevere come sanzione un'apprezzamento della valuta. Già nel 1997 avevo lanciato un avvertimento, ma fra i politici non c'era alcuna consapevolezza. Con la crisi finanziaria questa politica è andata a sbattere contro il muro, ma la Eurocrisi nasce di fatto nel 1999.

Una unione monetaria puo' funzionare?

Si', quando si osservano i principi fondamentali: il tasso di inflazione fra i paesi deve convergere. Nella zona Euro l'obiettivo di inflazione comune era del 2%. La Germania non ha rispettato l'obiettivo verso il basso, il sud Europa verso l'alto. Solo in Francia l'inflazione è stata del 2%. In media l'obiettivo è stato raggiunto. Peccato la media sia inutile quando le divergenze sono cosi' profonde.

Come si puo' controllare l'inflazione?

Per mantenere l'obiettivo di inflazione i salari devono crescere allo stesso livello della produttività. Ogni paese deve adeguare il costo del lavoro per unità di prodotto alla propria produttività, tenendo conto degli obiettivi di inflazione. Cio' si traduce in una convergenza della competitività. Ognuno potrà essere felice a modo suo, se saprà adattarsi alla sua produttività.

Nella zona Euro non tutti sono felici

La Germania ha vissuto al di sotto delle sue possibilità, il sud Europa al di sopra. Esattamente quello che non è permesso fare. Di fatto si puo' avere una bassa o alta produttività, essere efficienti o male organizzati - non è importante. Basta solo adattarsi al livello della propria produttività.


E' permesso anche fare debiti?

La politica si concentra sui deficit pubblici e sul livello di debito, ma per l'unione monetaria non sono importanti. I criteri di Mastricht non hanno molto senso. E' importante: chi è il debitore e chi potrà sostenere il debito.

In passato sono stati i paesi emergenti ad avere il ruolo del debitore.

Per questa ragione sono stati condannati dal FMI. I paesi latino-americani ad esempio hanno detto: mai piu'! Non vogliono piu' trovarsi in questa posizione di dipendenza schiavista nei confronti dei creditori e avere in casa il FMI che gli detta le politiche economiche.

In Germania le famiglie e le imprese risparmiano e quindi sono creditrici. Chi dovrebbe indebitarsi?

Lo stato ha inserito un limite all'indebitamento in costituzione, e per questo non gli è piu' permesso. Cosi' è implicito che a fare debiti dovrà essere l'estero. Ma la Germania ufficialmente dice: i paesi debitori non potranno piu' fare debiti. E' una politica incoerente, e una politica incoerente non puo' funzionare.

Negli Stati Uniti, l'economista Paul Krugman, sostiene che sia lo stato a doversi indebitare per stimolare l'economia.

Io preferirei che fossero le aziende a indebitarsi. Sono le sole a poter sempre onorare i debiti, se decidono di investire. Lo stato è un'istituzione molto statica. Le imprese sono una massa in continuo movimento, portano avanti l'innovazione, i debitori non sono sempre gli stessi, ce ne sono sempre di nuovi. 

Le imprese pero' investono poco

La domanda interna tedesca è ai minimi. I consumi sono stagnanti da almeno 10 anni. Il commercio al dettaglio dal 1994 in termini reali non è cresciuto. E per una grande economia è una situazione ridicola. E nessuno lo dice, si cerca di nasconderlo sotto il tappeto, perché i media tedeschi sono fedeli al governo

Da dove dovrebbero arrivare gli stimoli?

L'Europa si trova nella peggiore stagnazione dagli anni trenta e non riesce ad uscirne. Ci deve essere qualcosa di fondamentalmente sbagliato. L'economista Richard Koo parla di una recessione di bilancio, in cui lo stato, le imprese e le famiglie contemporaneamente rientrano dal debito. Era cosi' sicuramente all'inizio della crisi, ma nel frattempo le imprese di tutto il mondo hanno accumulato cosi' tanto denaro che non hanno bisogno di ridurre il debito. Non sanno pero' cosa fare con il denaro. Per questa ragione è necessario andarlo a prendere - ad esempio con tasse piu' alte o salari piu' alti - e rimetterlo di nuovo in circolo. L'idea è che possano svilupparsi nuove imprese.

Le aziende tedesche hanno molto successo nell'export. Questo non è abbastanza?

La Germania ha bisogno di una struttura produttiva meno sbilanciata. Il settore dell'export è cresciuto da un terzo alla metà dell'economia, è decisamente anormale per una grande economia. E' necessario un maggiore consumo interno e meno export. E' la sola strada per compensare la situazione debitoria internazionale.

Piu' consumo e meno export - ricorda il riequilibrio in Cina.

Si' è lo stesso problema, e la Cina è riuscita a farlo. Ai vertici del gruppo G-20 non è piu' la Cina ad essere l'obiettivo delle critiche, ma la Germania, a ragione. La Cina si è accorta che era necessario un aggiustamento ed ha iniziato ad aumentare i salari. L'aumento dei salari è una rivalutazione reale - il corso nominale della valuta non è cresciuto. In questo modo l'avanzo commerciale si è ridotto. Si tratta di un tipico processo di riallineamento, ora il saldo commerciale estero della Cina non è piu' un problema. La Germania deve aumentare i salari; le famiglie continueranno a risparmiare il 10 % e spenderanno il resto. In questo modo le imprese avranno una possibilità sul mercato interno.

Invece dei paesi creditori, non potrebbero essere i debitori ad adeguarsi?

Io non credo che la Francia per potersi adattare ai paesi in avanzo commerciale possa accettare un taglio dei salari pari al 20%

In che modo si dovrebbero aumentare i salari?

E' abbastanza strano pensare in queste categorie. Nei paesi in avanzo dovrebbe essere lo stato a esercitare pressione. Ad esempio attraverso il coordinamento dei salari. Oppure attraverso un salario minimo piu' alto, con una indicizzazione alla produttività - fatto che spingerebbe verso l'alto anche gli altri salari. Per i paesi in surplus ci sono solo due strade: uscita dall'Eurozona e rivalutazione monetaria oppure rivalutazione interna attraverso un aumento dei salari. Non ci sono altertnative possibili. 


mercoledì 3 aprile 2013

E' la fine del mini-job?


A dieci anni di distanza dall'introduzione dell'Agenda 2010 e dopo averla votata, i Verdi fanno marcia indietro, almeno sui mini-job: sono stati un errore, è una forma di sfruttamento legalizzato. Da Süddeutsche Zeitung

Nel settore dei lavori a basso salario non è previsto l'obbligo della contribuzione sociale. Sono ormai numerose le aziende che impiegando solo minijobber fanno affari d'oro. Ma questa forma di impiego spesso non garantisce una pensione dignitosa. I Verdi vogliono cambiare le regole.

La Bundesagentur für Arbeit ufficialmente considera i Mini-job una buona idea. "Sfruttatate la possibilità di fare esperienza di lavoro e acquisite nuove conoscenze e competenze", scrivono sul loro sito web. "Potrete stringere nuovi contatti, ottenere nuove referenze e avere un nuovo punto di vista". E ancora: "Un mini-job puo' essere il punto di  partenza per un lavoro regolare".

In realtà non funziona proprio cosi'.

Anche i Verdi all'epoca votarono per l'introduzione dei mini-job, lo fece anche Katrin Göring-Eckard, la candidata del partito alla Cancelleria. I mini-job nelle intenzioni del legislatore dovevano essere l'arma perfetta contro la disoccupazione e il lavoro nero. Ma spesso non hanno soddisfatto queste aspettative. O forse peggio: l'effetto è stato esattamente quello opposto.

Ma ora i Verdi  nel medio termine vorrebbero abolire i mini-job. La loro attrattività risiede nel fatto che per il datore di lavoro non è previsto il pagamento dei contributi sociali. Pagano solo un piccolo contributo forfettario. Da gennaio 2013 in teoria per il datore di lavoro ci sarebbe l'obbligo di versare i contributi sociali. I minijobber di loro iniziativa possono tuttavia chiedere di essere esonerati da questo obbligo. E secondo le prime stime lo stanno facendo quasi tutti. Uno stipendio mensile di 450 € massimi non lascia molti margini.

Ormai da mesi quasi ogni settimana escono studi che dimostrano una cosa: i mini-job sono inflazionati. Oltre 7 milioni di individui - soprattutto donne - dipendono da questa forma di lavoro a basso salario. Per oltre 5 milioni sono la fonte principale di reddito. La maggior parte di loro non versa i contributi per la pensione statale. Semplicemente perché lo stipendio non basta. La conseguenza: crescerà la povertà in vecchiaia.

I Verdi propongono pertanto di riorganizzare il cosiddetto settore dei lavori a basso salario. Una parte di questo progetto è l'abolizione dei mini-job. Per i lavori senza assicurazione sociale obbligatoria lo stipendio massimo non dovrà superare i 100 € al mese. Lo ha annunciato Göring-Eckardt alla Rheinische Post.

I mini-job dovranno diventare poco attrattivi

La Göring-Eckardt conferma ancora una volta quello che i Verdi vogliono inserire nel programma per le elezioni federali: l'obbligo di versare i contributi assicurativi a partire dai 100 € al mese.

I mini-job non dovrannoo essere aboliti dall'oggi al domani. Al vertice nella lista delle priorità dei Verdi resta l'introduzione di un salario nazionale minimo definito dalla legge. Poi la limitazione del numero di minijobber impiegati in ogni singola azienda, e quindi la definizione di un numero massimo di ore di lavoro sul totale. In un momento successivo si dovrà stabilire che a partire dai 100 € mensili è necessario contribuire alla sicurezza sociale. Il limite oggi è a 450 €. I mini-job dovranno quindi "esssere sostituiti da forme contrattuali socialmente sostenibili", si dice nel programma.

Sono numerose le aziende che oggi impiegano quasi esclusivamente minijobber. Secondo i Verdi un abuso a spese dei contributi pensionistici dei lavoratori. I minijobber dovranno essere quindi trattati secondo il normale diritto del lavoro. Tutti passaggi che renderanno i mini-job sempre meno attrattivi.

Non è ancora chiaro se gli obblighi di contribuzione sociale dovranno essere introdotti immediatamente. Il loro ammontare è di circa il 20% del salario lordo, mentre le imposte sul reddito sono progressive e aumentano con il reddito.

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Come andrà a finire?


German Foreign Policy, osservatorio sulla politica estera tedesca, propone un'analisi realizzata dalla Friedrich Ebert Stiftung (vicina alla SPD) sulle possibili vie di uscita dalla crisi. Gli scenari sono 4, tutti prevedono un'egemonia tedesca sul continente. Da german-foreign-policy.com
In una recente pubblicazione della Fondazione Friedrich-Ebert (vicina alla SPD) vengono descritti 4 scenari per lo sviluppo dell'EU sotto la pressione della crisi Euro. Durante una serie di conferenze tenute in diversi paesi europei, la Fondazione ha cercato di analizzare i possibili effetti della crisi sulla struttura dell'Unione Europea. Il risultato è stato appena pubblicato. Secondo il documento, il consolidamento dell'EU in una unione politica sarebbe desiderabile, ma non cosi' realistico: piu' probabile invece la nascita di una unione dai confini ridotti intorno ad un centro tedesco ("Europa core"). In questo scenario, l'Unione Europea resterebbe solo come una zona di libero scambio. Nell'ultimo caso si ipotizza invece il totale impoverimento della periferia EU insieme al possibile collasso dell'intera zona Euro. Tale evento avrebbe le potenzialità per una escalation delle ostilità fra le regioni europee, in particolare fra nord e sud. La Fondazione Ebert ci ricorda che una unione fra piu' stati puo' finire anche in maniera violenta: un rischio non da escludere, con esplicito riferimento alla ex-Jugoslavia.

La paura della forza tedesca

L'analisi della "Fondazione Friedrich Ebert" si fonda su numerose conferenze e seminari tenuti lo scorso anno in diversi paesi europei. Il tema era lo sviluppo dell'EU sotto la pressione della crisi. Secondo la Fondazione ci sarebbero quattro possibili scenari. Il documento conferma inoltre che "la consapevolezza della forza tedesca " è ormai evidente in tutta Europa - ci sarebbe perfino "una non dichiarata paura di Berlino". E cio' avrebbe un ruolo importante nei 4 scenari ipotizzati.

Scenario del "tirare a campare"

Il primo scenario descritto dalla Fondazione è quello in cui le parti in campo cercano in qualche modo di "tirare a campare". In questo scenario proseguono le attuali politiche anti-crisi. I diktat di risparmio vanno regolarmente avanti, mitigati tuttavia da una prudente politica di crescita. I paesi in crisi del sud Europa dovranno essere ancora sostenuti con pacchetti di aiuto; a causa della disoccupazione di massa e dell'impoverimento, nella periferia scoppieranno rivolte dettate dalla povertà. Sul piano della politica mondiale, l'EU uscirà indebolita dalla lunga crisi economica. Al proprio interno emergerebbero forti flussi migratori da un sud-Europa senza prospettive verso un centro piu' ricco: uno sviluppo che Berlino sta già anticipando con la richiesta di un limite alla libertà di movimento (per i Rom e i Sinti). Secondo la Fondazione, nessuno crede che la strategia del "tirare a campare" possa durare a lungo. Nei paesi in crisi le tensioni già in atto finiranno per esplodere. A cio' si deve aggiungere il fatto che in Germania i gruppi piu' influenti eserciteranno una pressione sempre piu' forte per fermare l'esperimento Euro: per Berlino sarebbe troppo costoso e nella lotta per la leadership mondiale ci sarebbe già un'alternativa nazionale. In aprile è prevista la fondazione ufficiale del partito anti-Euro tedesco, che di queste riflessioni dovrà tenere conto.

Scenario dell'Unione politica

La fondazione Ebert considera uno scenario auspicabile il passaggio verso una completa unione fiscale. In questo caso tutte le competenze necessarie sarebbero trasferite a Bruessel, insieme all'avvio di un profondo processo di integrazione delle politiche economiche europee. Ne farebbero parte l'allineamento delle aliquote fiscali e l'armonizzazione delle prestazioni sociali - insieme alla realizzazione di una piu' generale "unione politica". La Fondazione riconosce che difficilmente si arriverà a questo modello: andrebbe contro interessi nazionali ancora molto forti - non da ultimo l'interesse tedesco di evitare la redistribuzione di una parte della ricchezza nazionale ai paesi in crisi del sud Europa. Senza considerare la rinuncia al potere centrale degli stati nazionali, fatto che metterebbe in pericolo l'egemonia tedesca. Una EU fondata su di una unione politica, tuttavia, secondo la Fondazione potrebbe avere su scala globale una maggiore influenza: l'Euro diverrebbe sempre piu' una valuta di riferimento globale in grado di attrarre risorse finanziarie da tutto il mondo.

Il nucleo europeo

Molto piu' probabile secondo la fondazione è lo scenario di una "Europa core". I paesi del centro, che fino ad ora hanno resistito meglio alla crisi, potrebbero integrarsi ulteriormente senza lasciare l'EU. Emergerebbe quindi un nucleo di paesi ricchi, pronti a portare a termine l'unione fiscale, e che si muove congiuntamente verso l'unione politica. In questo scenario l'EU perderebbe ulteriore importanza e si trasformerebbe in una specie di grande zona di libero scambio. Potrebbero entrare a farne parte anche paesi come la Turchia. E' chiaro che ulteriori differenze in termini di benessere fra centro e periferia sarebbero una fonte costante di tensione: mentre il centro continuerebbe a godere di una certa ricchezza, alcuni dei paesi della periferia sarebbero minacciati dal disastro economico. Secondo la Fondazione, questo scenario avrebbe un carattere potenzialmente non-democratico, in quanto le decisioni fondamentali verrebbero prese nei paesi core, pur riguardando l'intera EU. Gli stati della periferia sarebbero di fatto dominati da un centro a egemonia tedesca. Inoltre, la periferia potrebbe essere attraversata da gravi disordini e quindi causare una potenziale rottura dell'intera Unione Europea.

Disintegrazione

La disintegrazione dell'Eurozona è il quarto scenario considerato della Fondazione. Se non si riuscisse a governare la crisi nemmeno con gli strumenti attuali, sarebbe necessario fare i conti con la dissoluzione totale della zona Euro. Potrebbe quindi emergere intorno alla Germania un blocco con una moneta comune - un Euro nord di cui già ora si discute - mentre i paesi in crisi del sud dovrebbero tornare alla Dracma, alla Lira e alla Peseta. La coesione dell'EU sarebbe erosa mentre nuove misure protezionistiche metterebbero in discussione il commercio estero; nel sud "una profonda recessione potrebbe devastare intere regioni" causando fenomeni di immigrazione di massa. Le ostilità fra le regioni europee, fra nord e sud, ma anche fra le diverse nazioni potrebbero registrare una forte escalation, riprendendo i vecchi stereotipi nazionali. In questo scenario la disintegrazione dell'EU sarebbe inevitabile. Secondo la Fondazione, la disintegrazione potrebbe avvenire secondo il modello Sovietico oppure Jugoslavo: uno scioglimento pacifico, oppure una guerra. La Fondazione suggerisce di prendere sul serio anche quest'ultimo scenario.

La sindrome da Mezzogiorno

Se lo scenario della dissoluzione dovesse realizzarsi, la fondazione Ebert ipotizza il raggruppamento di alcuni paesi intorno ad un centro germanico. La Fondazione ipotizza anche una sindrome da Mezzogiorno. Le zone piu' ricche potrebbero quindi sganciarsi dalle regioni piu' in crisi del sud al fine di evitare il collasso economico. Sarebbe il caso ad esempio della Catalogna e del Nord Italia. Di fatto le forze separatiste portano avanti con forza i loro progetti indipendentisti, appoggiati almeno in parte anche dalla Germania. Se le poche regioni del sud Europa ancora in salute economica riuscissero ad agganciarsi ad un centro guidato dalla Germania, Berlino sarebbe allora in condizione di massimizzare il ritorno economico e politico dal collasso dell'EU. Una variante ritenuta in passato come altamente improbabile, ma che organizzazioni vicine ad un partito e che si occupano di politica estera, come la Fondazione Friedrich Ebert, oggi non possono piu' escludere.


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lunedì 1 aprile 2013

Primi della Klasse


Perchè ci odiano nel sud-Europa? Se lo chiede Wirtschaftswoche, e la risposta è abbastanza scontata: siamo i migliori, nessuno sarà mai come noi. Continua la sindrome da "Primo della Klasse". Da wiwo.de
La rabbia verso la Germania è inaccettabile. La si dovrebbe interpretare non in chiave economica - ma storica.

Perchè ci odiano? Molti tedeschi, alla luce dei continui pacchetti di salvataggio e dopo  decenni di trasferimenti di risorse, poco a poco inizieranno a provare una certa rabbia nei confronti dei paesi destinatari di aiuti, ai loro occhi ingrati e irragionevoli. La rabbia anti-tedesca in Europa  tuttavia sembra comprensibile. Non certo giustificata, come vorrebbero farci credere i demagoghi di sinistra alla Jakob Augstein. I paesi in crisi nel sud Europa non ce l'hanno con il sistema oppure con il capitalismo. Inveiscono contro l'UE e soprattutto contro la Germania, mettendoli sullo stesso piano. E questo è comprensibile - non certo da un punto di vista economico, ma da una prospettiva storica.

La spiegazione piu' ovvia: il risentimento nei confronti di chi non mostra le debolezze che tu stesso hai. I tedeschi, come scritto recentemente dallo storico britannico Brendan Simms, non hanno commesso certi errori: "Diversamente dagli irlandesi e dagli spagnoli non hanno avuto una gigantesca bolla immobiliare, si accontentano di affittare i loro appartamenti, come è sempre accaduto; diversamente dagli italiani non hanno trasformato la politica in un circo che distrugge la fiducia nei titoli di stato; e diversamente dai greci, dispongono di un sistema politico che nonostante tutte le carenze si fonda sull'onestà e la trasparenza". Simms nel suo saggio ha osservato che l'assenza di errori arriva fino ad oggi. A differenza della storia politica ed intellettuale tedesca,  nel lungo periodo quella economica è stata una storia di successi. Ed è molto difficile essere amato quando sei il primo della classe.

E ora la generosa disponibilità tedesca ad aiutare gli altri provoca invidia. Solo un rivoluzionario romantico come Che Guevara poteva pensare che "la solidarietà è la tenerezza fra i popoli". Nel mondo reale, la dipendenza permanente non aiuta l'amicizia fra i popoli, ma causa invidia e nuove pretese.

Piu' del risentimento dei deboli bisognosi di aiuto nei confronti dei piu' forti paesi donatori, sentimento peraltro molto umano, conta la mortificazione causata da una EU trainata dalla forza economica tedesca.

L'integrazione europea e l'ampliamento della CEE a Grecia, Spagna e Portogallo era stato considerato un mezzo, dopo la caduta dei regimi autoritari degli anni '70, per garantire uno sviluppo democratico e - almeno prima del 1989 - impedire un loro avvicinamento al comunismo. Nel nord Europa, prima di tutto in Germania, c'e' sempre stata e tuttora esiste la convinzione che l'integrazione e i generosi fondi di coesione avrebbero portato i paesi mediterranei verso lo sviluppo e la modernità, come già accaduto in tutta l'Europa occidentale e del nord. 

Ma cio' è successo solo superficialmente. Il livello dei redditi, anche grazie ai generosi fondi europei per la coesione, è salito quasi ai livelli del nord Europa. Ma nel sud Europa a questi trasferimenti ci si è abituati. E hanno finito per coprire le differenze strutturali, cio' che Werner Abelshauser definisce cultura economica, vale a dire il pensiero e l'agire degli attori economici, emersi nel tempo e definiti dalla storia dell'organizzazione dello stato e della società.  Il contenimento dell'inflazione attraverso una banca centrale indipendente e la ferrea disciplina di bilancio nel sud Europa hanno da sempre una minore accettazione rispetto a quanto non accada in Germania. Per questa ragione le imprese e i cittadini del sud Europa nel tempo si sono adattati a un'inflazione piu' forte.

I paesi del sud Europa, Francia inclusa, sono tradizionalmente paesi con una moneta debole. I tedeschi e gli altri paesi del nord, con l'aiuto dell'Euro, pensavano di poter esportare verso il sud Europa il loro regime di moneta forte insieme alle corrispondenti idee di politica fiscale. In Germania si supponeva, e si ritiene ancora oggi, che il sud Europa debba seguire il percorso economico del nord e aderire con convinzione alla disciplina di una banca centrale indipendente e orientata unicamente alla stabilità monetaria. Un'aspettativa culturalmente e storicamente cieca. Si pensava, come formulato da Wolfgang Streeck, "si adatteranno a questa disciplina e faranno concorrenza in maniera leale - sebbene nel lungo periodo siano destinati a perdere. I tedeschi pensavano che gli altri paesi fossero un po' come il VfL Bochum (squadra della Bundesliga tenace ma di bassa classifica), per loro non è importante, almeno fino a quando potranno giocare".

Se si intende ricalcare la cultura economica di un determinato paese, nell'opinione pubblica quel paese dovrebbe avere un ruolo piu' importante rispetto ai soli trasferimenti economici che da esso si ricevono. Naturalmente la Germania non è la causa dei problemi economici del sud Europa. Ma è la ragione per cui i paesi del sud si sentono umiliati. Da loro infatti ci si aspetta che abbandonino un modo di pensare e operare consolidato per decenni: il regime della moneta debole e i metodi di soluzione delle crisi dei paesi mediterranei (alta inflazione e bancarotta di stato) dovranno essere dichiarati inammissibili. A nessuno piace sentirsi dire la verità: devi cambiare - e devi diventare come me. 

Naturalmente i paragoni primitivi con i nazisti fatti nel sud-Europa sono inaccettabili. Ma  il destinatario di tanta rabbia, nel suo stesso interesse dovrebbe cercare di comprenderne le motivazioni. Che non significa dargli ragione, ma è il prerequisito per capire la relatività della propria posizione.
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