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lunedì 17 settembre 2018

Die Welt: il destino dell'Europa nelle mani del governo italiano

Die Welt affida al prof. Friedrich Heinemann un commento decisamente critico sulla situazione italiana. Per il professore di economia di Heidelberg il destino del patto di stabilità e soprattutto la credibilità delle istituzioni europee è nelle mani del governo italiano. Se la Commissione dovesse cedere, allora i "populisti" dilagherebbero in tutta Europa. I primi della Klasse salgono in cattedra. Da Die Welt


Negli ultimi giorni un sospiro di sollievo collettivo ha attraversato l'Europa. Il motivo sono state le dichiarazioni dei rappresentati del governo italiano secondo le quali l'Italia intende rispettare il limite del tre per cento previsto dal Patto di stabilità. In precedenza i ministri del governo avevano ripetutamente fatto sapere che il paese, con un rapporto debito/pil di oltre il 130%, in futuro avrebbe ignorato le norme sul debito. Ciò che viene trascurato, tuttavia, è il fatto che il patto di stabilità è molto più di un semplice limite del 3%. Per buone ragioni questo limite nel patto di stabilità riformato ha perso gran parte della sua importanza.

Oggi ci sono altri due "guardrail" progettati per garantire che i paesi altamente indebitati riducano il loro debito e che per farlo utilizzino gli anni buoni del ciclo economico. Il primo requisito importante è il livello di indebitamento, che dal Trattato di Maastricht in poi per i paesi della zona euro dovrebbe essere inferiore al 60% del PIL. Su questo punto il patto prescrive che i paesi con un debito più elevato debbano ridurre la distanza da questo limite di un ventesimo ogni anno.

L'Italia ormai da molti anni, in maniera alquanto sfacciata, non rispetta questo criterio. Il secondo limite riguarda il disavanzo corretto per gli effetti del ciclo economico (il "deficit strutturale"), che per l'Italia dovrebbe essere pari a zero. Anche qui, con un deficit strutturale di poco inferiore al due per cento, il paese resta attualmente ben al di sopra del valore consentito. In caso di tali infrazioni, il patto prevede l'obbligo di ridurre ogni anno il deficit di circa mezzo punto percentuale fino al raggiungimento dell'obiettivo.

In parole povere tutto ciò significa: il patto impone all'Italia di ridurre l'attuale deficit in passi misurabili fino al raggiungimento dello zero per cento nello spazio di qualche anno. Ciò è ancora piu' valido in quanto il paese si trova di nuovo in una situazione economica normale. In anni in cui la congiuntura economica è normale o addirittura buona, a ragione il patto richiede delle forti misure di austerità. Questo è l'unico modo per avere margini di deficit più alti nelle fasi di rallentamento economico.

La strategia di Salvini è politicamente intelligente

Anche prima della formazione del nuovo governo, la Commissione europea aveva richiamato l'attenzione sul fatto che l'Italia potrebbe mancare gli obiettivi previsti dal patto per il 2019. Questo avvertimento era evidentemente legato alla politica di bilancio del precedente governo. Anche se il nuovo governo intendesse implementare solo una piccola parte delle sue nuove idee in merito all'aumento della spesa e alla riduzione delle tasse, la situazione si aggraverebbe ulteriormente.

Nell'interpretazione delle regole bisognerebbe prendere in considerazione anche il fatto che il governo di Giuseppe Conte ha già ritirato alcune riforme del mercato del lavoro e che intende abolire le riforme pensionistiche introdotte dai suoi predecessori. Sono state proprio queste riforme a fornire alla Commissione argomenti per concedere al paese "circostanze attenuanti".

È in linea con la logica simmetrica del patto secondo la quale i limiti di deficit devono essere applicati in maniera più stringente se le riforme vengono ritirate. Puoi trasformare il patto oppure girarlo a tuo piacimento, ma un deficit piu' alto, inferiore solo di alcuni decimali rispetto al limite del 3%, non è in alcun modo conforme alle regole. Un deficit massimo dell'1,5% nel 2019 potrebbe essere accettabile, ma solo con un po' di buona volontà. E comunque il bilancio dovrà muoversi con una certa rapidità verso l'obiettivo del pareggio fra entrate e uscite.

Che i ministri italiani come Matteo Salvini preferiscano concentrarsi sul limite del tre per cento e non ne vogliano sapere di osservare standard più rigidi, è politicamente intelligente. E' un argomento che sposta il punto di riferimento. Prima il governo minaccia di superare il limite del tre per cento, subito dopo però rivende un deficit del 2,9 % come un "successo" e un "rispetto delle regole". È inoltre in linea con l'esperienza fatta in molti anni con il patto di stabilità, e cioè: gli Stati  della zona euro fanno una scelta selettiva. Nella comunicazione  infatti, spesso viene utilizzato il limite più facile da raggiungere. Piuttosto è sorprendente che i media e la politica siano acritici nei confronti di questa strategia che invece sta passando nel silenzio generale.

Si tratta del futuro del patto di stabilità

Il guardiano del patto di stabilità e crescita è la Commissione europea. E' necessario un rapido chiarimento sul tema. Jean-Claude Juncker e il commissario per gli affari monetari Pierre Moscovici devono mettere in  chiaro che l'Italia senza una ulteriore riduzione del deficit violerebbe il Patto. Non sappiamo tuttavia se la Commissione alla fine dell'era Juncker avrà questo coraggio.

A Bruxelles il timore è quello di un importante successo elettorale dei gruppi populisti alle elezioni europee del maggio 2019. Un argomento comune è che una procedura di infrazione sul deficit nei confronti dell'Italia potrebbe regalare ancora più voti a Lega e Cinque stelle. Un handicap del patto è ora molto chiaro: l'ufficio di controllo in seno alla commissione ha un'autorità politica che non ha la neutralità sufficiente per l'applicazione pertinente delle regole del gioco.

L'attuale disputa sul bilancio con l'Italia riguarda quindi il futuro del patto di stabilità. È sicuramente complesso, tuttavia offre un insieme ben equilibrato di regole con una certa flessibilità e un senso per la politiche economiche congiunturali. Se la Commissione dovesse cedere, allora la credibilità del patto riformato sarebbe irreparabilmente danneggiata. E il calcolo di voler contenere in questo modo i populisti non sarebbe affatto convincente. Se la Commissione dovesse piegarsi, dimostrerebbe che i in Europa i governi possono far valere la propria volontà con strategie di confronto populiste. Difficilmente si potrebbe immaginare una pubblicità migliore per la campagna elettorale dei populisti alle europee.

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giovedì 3 ottobre 2013

Il programma del nuovo governo secondo Sinn

Hans Werner Sinn su Handelsblatt.de propone un programma per il nuovo governo federale: basta con l'OMT, una nuova Maastricht, e la riforma del diritto di voto nel board BCE. Da Cesifo-group.de
Il compito principale della prossima legislatura sarà la soluzione della crisi Euro e la stabilizzazione di una moneta unica europea finalmente capace di funzionare. La BCE dovrà necessariamente interrompere la sua politica fiscale regionale, travestita da politica monetaria.

I politici attuali non saranno piu' in carica quando al conto della crisi demografica e dei crescenti costi pensionistici si aggiungeranno i rischi sulle garanzie creditizie offerte ai paesi in crisi. A rischio sarà la coesione dell'intera UE. Il nuovo governo federale dovrebbe mettere questo tema in cima alla propria agenda. Se troverà la forza e il coraggio per farlo, è un'altra questione.

Primo: la rinegoziazione del trattato di Maastricht per fermare la stampa di denaro nei paesi in crisi. Non è accettabile che la BCE senza il controllo dei parlamenti nazionali abbia fornito i due terzi degli aiuti internazionali ai paesi in crisi (782 dei 1106 miliardi di Euro), e che i parlamenti nazionali si trovino nella condizione di dover salvare la BCE dal rischio di subire una perdita su questi crediti, approvando un pacchetto di salvataggio dietro l'altro.

I parlamenti dovranno liberarsi dal ruolo di assistente del board BCE. Sarà necessario limitare istituzionalmente i crediti regionali di natura fiscale e chiedere di rimborsare quelli già concessi. Il modello di riforma da adottare è offerto dal sistema della Federal Reserve americana. Se non sarà scelto questo percorso, all'interno del board BCE sarà necessario  ponderare il diritto di voto sulla base delle garanzie offerte dai diversi paesi e quindi modificarne le regole.

Secondo: la revoca del programma OMT. Non è accettabile che la BCE offra ai possessori dei titoli di stato dei paesi in crisi un'assicurazione gratuita e prometta di farsi carico delle perdite derivanti da questi titoli a spese del contribuente dei paesi ancora in salute. Questa politica porta ad una errata allocazione dei flussi di capitale in Europa e finirà per costringere gli stati a garantire con gli Euro-bond i debiti dell'Eurozona. Dopo che la BCE avrà acquistato i titoli di stato, sarà infatti necessario introdurre gli Euro-bond per proteggere la BCE stessa dalle perdite su questi titoli.

Il nuovo governo, sperando nell'appoggio della Corte Costituzionale, dovrà evitare che il Bundestag si trovi nuovamente in una situazione senza alternative. Una situazione causata dalle scelte del board BCE, e in cui la messa in comune dei debiti pubblici resta la sola strada percorribile. Come mostra la storia dei primi anni degli Stati Uniti d'America, questa strada porta ad un forte aumento della conflittualità.

Terzo: l'unione monetaria aperta. La crisi Euro tonerà ad infiammarsi fino a quando i paesi del sud non avranno risolto i loro problemi di competitività. Le uniche soluzioni disponibili restano una svalutazione attraverso l'uscita dall'Euro, oppure la svalutazione interna. Poiché la seconda è realizzabile solo in misura limitata, affinché i paesi colpiti non si trovino in una situazione di disoccupazione di massa che li porterebbe al collasso, si dovrebbe permettere un'uscita ordinata con una svalutazione e il possible rientro nell'unione monetaria, previa attuazione di un programma di riforme.

Quarto: una unione bancaria senza una garanzia comune. L'Europa ha bisogno di una unione bancaria con un controllo centrale delle banche, ma senza una responsabilità comune dei contribuenti per i debiti delle banche. Solo i creditori delle banche dispongono del patrimonio necessario per la ricapitalizzazione delle banche, e solo se saranno loro stessi a subire le conseguenze dei loro investimenti sbagliati, in futuro si asterranno dal prendere troppi rischi.

Nelle prossime negoziazioni il governo dovrà imporre delle norme rigorose per la ricapitalizzazione delle banche con mezzi comuni, anche se in questo modo le perdite potrebbero diventare visibili nei bilanci della BCE. La Germania dovrà finalmente prendere una posizione, invece di mostrare una tacita approvazione verso la BCE ogni volta che la Bundesbank lancia un avvertimento.

venerdì 27 settembre 2013

L'incredibile storia del deficit/PIL al 3%

L'incredibile storia del deficit massimo al 3% del PIL, il mantra europeo degli ultimi 20 anni, ci ricorda quanto è sottile il confine fra scienza e ciarlateneria. Da FAZ.net


30 anni fa uno sconosciuto funzionario francese ha creato il famoso limite del deficit al 3%, che ancora oggi ha un ruolo determinante nella zona Euro.


E' un numero magico, che non lascia alcun paese indifferente - in Europa, e non solo. Il limite del deficit pubblico al 3% del PIL, fissato dal trattato di Maastricht nel 1992, resta il freno all'indebitamento per i membri dell'unione monetaria. In piu' occasioni è stato superato, ma continua a far sentire i suoi effetti, anche solo come riferimento. A nessun politico è permesso di ignorarlo.



Ma perché proprio il 3%, e non il 2.5 % o il 3.5 % o il 4%? "Economicamente è difficile da giustificare", disse una volta l'ex presidente della Bundesbank Hans Tietmeyer, mentre osservava da vicino la nascita del criterio. All'origine della storia c'è un funzionario di basso livello del Ministero delle Finanze francese, all'epoca non ancora assunto: il francese Guy Abeille. La famosa idea di un limite al 3% nacque nel 1981 in una stanza sul retro del ministero, che all'epoca si trovava ancora al Louvre, accanto al famoso museo. Inizialmente fu utilizzato dal governo francese per i suoi obiettivi di politica interna, dopodiché, su proposta dei francesi, è stato applicato su scala europea. Monsieur Abeille, un uomo magro con gli occhiali senza montatura e la camicia aperta, racconta in un caffè parigino come nacque il criterio del 3%. I protagonisti dell'epoca, come Tietmeyer e il futuro presidente della BCE Jean-Claude Trichet, confermano la sua versione.


Il numero fu trovato alla svelta

I socialisti nel 1981 avevano da poco vinto le elezioni presidenziali e François Mitterrand si era impegnato a mantenere le sue costose promesse elettorali. Le aspettative dei cittadini e dei ministri del suo governo erano molto alte. Il deficit pubblico (lo stato centrale senza i dipartimenti, i comune e le casse sociali) in un anno era passato da 50 a 95 miliardi di Franchi. Mitterand sapeva che non poteva andare avanti cosi', e si mise a cercare un modo per mantenere il controllo. Diede l'incarico ad un uomo che considerava affidabile: Pierre Bilger, l'allora vice direttore del dipartimento del bilancio al Ministero delle Finanze. Il Presidente avrebbe bisogno "di una sorta di regola, qualcosa di facile, che assomigli al risultato di una profonda competenza economica", diceva Bilger - e serve subito. A Bilger vengono in mente due esperti che lavorano nelle stanze sul retro del Louvre: uno era Abeille, allora non aveva nemmeno 30 anni, e Roland de Villepin, un cugino del futuro primo ministro Dominique de Villepin. Bilger dette l'incarico ai due sapendo che avevano avuto una formazione economica con molta matematica all'ENSAE. Tenne invece volutamente a distanza i colleghi usciti dalle scuole di amministrazione  dell'ENA e membri di quella élite.

I due francesi evitarono di fare dei calcoli matematici in puro stile economico. Una sera ("era già notte", ricorda Abeille) i due concordarono che come parametro di riferimento bisognava utilizzare il PIL, perché poteva essere compreso da chiunque. Anche il numero fu trovato rapidamente: "Prendemmo in considerazione i 100 miliardi del deficit pubblico di allora. Corrispondevano al 2.6 % del PIL. Ci siamo detti: un 1% di deficit sarebbe troppo difficile e irraggiungibile. Il 2% metterebbe il governo sotto troppa pressione. Siamo cosi' arrivati al 3%". Senza un fondamento scientifico, era nato un criterio di analisi economica che in seguito avrebbe fatto il giro del mondo. "Nasceva dalle circostanze, senza un'analisi teorica", ricorda Abeille. Dopo aver spedito verso l'alto la loro proposta, prima fu utilizzata dall'allora Ministro delle Finanze Laurent Fabius (oggi ministro degli esteri) e poco dopo anche da Mitterand. "Il limite massimo è il 3% del PIL - non oltre", era la linea politica annunciata dal presidente il 9 Giugno 1982.

I debiti all'inizio degli anni novanta

La diga ha retto, con l'eccezione di un piccolo sforamento nel 1986, per diversi anni; all'inizio degli anni '90 e per qualche anno l'indebitamento francese torna invece a superare la soglia del 3%.

Dopo questo risultato i francesi vorrebbero dare una carriera europea alla loro regola nazionale. Poche settimane prima dell'inizio della conferenza di Maastricht, nel dicembre 1991, i negoziati europei si trovavano ad un punto morto. L'allora Direttore del Tesoro Jean-Claude Trichet e futuro presidente della BCE mette allora sul tavolo dei negoziati la regola del 3% (che questa volta dovrebbe includere tutti gli enti locali e i fondi di previdenza). "La Francia ha avuto delle ottime esperienze, la regola è semplice e comprensibile per tutti", dichiaro' Trichet alla Frankurter Allgemeinen Zeitung. La proposta tedesca, corrispondente all'articolo 115 della costituzione, prevedeva un deficit massimo pari al livello degli investimenti pubblici effettuati. Venne ritenuta inattuabile. "In quel caso alcuni stati membri avrebbero considerato le spese militari o quelle per l'istruzione come investimenti", disse Trichet. I tedeschi si fecero convincere alla svelta dall'idea del 3% francese.

Trichet era riuscito a trovare perfino un ragionamento economico, ripreso anche dall'allora Ministro delle Finanze tedesco Theo Waigel: "Il livello di indebitamento europeo all'inzio degli anni '90 era pari a circa il 60% del PIL. La crescita nominale era circa il 5%, e l'inflazione al 2%. In questa situazione i debiti potevano crescere al massimo di un 3 % all'anno, per non superare la soglia del 60%", dice Weigel.

Questo calcolo tuttavia non era alla base della regola del 3%, era stato fatto solo a posteriori. L'assunto di una crescita al 5% "purtroppo era troppo ottimista, come sappiamo oggi", ammette Trichet. "Avremmo dovuto fissare dei limiti all'indebitamento piu' bassi, perché la crescita è stata inferiore", dice oggi l'ex presidente della BCE.

La regola è stata applicata in diverse situazioni, anche in paesi come il Canada o l'Indonesia. Il "padre della regola" oggi ha 62 anni, e assiste agli sviluppi con un certo divertimento: "non l'avremmo mai immaginato". Tuttavia è rimasto un sostenitore della disciplina di bilancio. Nel suo ruolo di funzionario, da dietro le quinte, Abeille ha visto in piu' occasioni come i governi francesi prima delle elezioni abbiano fatto manipolare i dati. Per questo secondo lui le regole dovrebbero avere un'applicazione piu' stretta e non offrire scappatoie. Abeille considera invece alquanto utopici i calcoli sul deficit strutturale, al momento di gran moda, che ignorano l'impatto congiunturale. 

"Non ho un curriculum presentabile"

Già da tempo non lavora piu' per il governo francese. Dopo l'uscita dal Ministero delle Finanze, per un periodo ha lavorato in un'autorità ambientale ed energetica, per poi diventare uomo di casa e tentare la strada della scrittura. "Non ho un curriculum presentabile", dice scherzando Abeille, senza esserne imbarazzato. Molto piu' significativa è invece la sua eredità, perché anche se la regola del 3% non è perfetta, resta comunque un'ancora a difesa delle prossime generazioni dagli appettiti dei politici affamati di spesa pubblica. Ora tocca ai governi rispettare questi criteri...