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lunedì 20 maggio 2019

Perché il Lussemburgo è diventato il paradiso fiscale alle porte di casa

Dal Lussemburgo e dai lussemburghesi DOC ci arrivano spesso le solite lezioncine sui conti pubblici e sulla disciplina di bilancio. Vale la pena farsi spiegare da un esperto di paradisi fiscali, il tedesco Hans-Lothar Merten, come abbia fatto il piccolo granducato a diventare quello che è oggi: il paradiso fiscale al servizio del grande capitale tedesco. La Süddeutsche Zeitung intervista Hans-Lothar Merten.


Hans-Lothar Merten, esperto di paradisi fiscali, ci spiega come abbia fatto il Lussemburgo a diventare quello che è oggi - e quale ruolo hanno avuto le banche tedesche. 

SZ: in che modo il Lussemburgo è diventato un paradiso fiscale?

Hans-Lothar Merten: le banche tedesche hanno tirato sù il Lussemburgo, gli hanno dato notorietà a livello nazionale, il che ha trasformato il Lussemburgo in un rifugio ben conosciuto e di grande interesse per gli investitori privati. ​​Prima che nel 1993 fosse introdotta la ritenuta alla fonte sugli interessi, era già in corso una fuga dei capitali da parte degli investitori tedeschi. A quel tempo ad andarsene non era solo il denaro dei ricchi, verso il Lussemburgo si spostavano anche i patrimoni piu' piccoli. Si guidava fino in Lussemburgo con i soldi nel bagagliaio, si trattava principalmente di persone provenienti dall'Assia, dalla Renania-Palatinato e dal Nord Reno-Westfalia. Volevano essere in grado di passare rapidamente il confine da soli. All'epoca si trattava ancora di spostare i titoli di credito in forma fisica.

Hans Lothar Merten

SZ: che cosa ha significato per il Lussemburgo essere diventato un paradiso fiscale?

È stato un programma economico per la creazione di posti di lavoro. Le banche e le società di investimento hanno decine di migliaia di dipendenti. La maggior parte proviene dall'estero perché il Lussemburgo non può fornire così tanti lavoratori. E naturalmente queste aziende, anche se pagano poche tasse, lasciano dei soldi nel paese - per soggiorni in hotel, cene e così via.

SZ: la Svizzera e il Lussemburgo sono i paradisi fiscali più popolari fra i tedeschi. Cosa differenzia questi due paesi?

La Svizzera da sempre è conosciuta come il paradiso fiscale per eccellenza, sin dalla prima guerra mondiale. In Lussemburgo questo aspetto si è sviluppato solo negli anni ottanta. La qualità delle banche svizzere è sempre stata molto buona. Il Lussemburgo si è sviluppato solo più recentemente. Ma poi sono stati anche bravi. Soprattutto perché molte banche tedesche si sono spostate nel granducato. Hanno portato lì una parte della loro clientela.

SZ: e lavori ben pagati nel settore finanziario.

Esattamente. Il Lussemburgo ha corteggiato le banche. Il legislatore ha fatto la sua parte e ha offerto delle strutture fiscali interessanti per i grandi patrimoni privati. Il Lussemburgo è ancora oggi uno dei più grandi centri finanziari del mondo. E per un lungo periodo di tempo il Lussemburgo ha tenuto fede al segreto bancario, come, per inciso, l'Austria. Gli investitori potevano risparmiare le tasse sugli interessi.

SZ: dopotutto, il segreto bancario nell'UE da alcuni anni è un ricordo del passato 

Per i piccoli investitori privati anche in passato il Lussemburgo non è mai stato molto interessante: a causa dei CD fiscali, e dei raid su larga scala condotti dalle autorità nelle banche. All'improvviso si sono messi paura. Per i grandi patrimoni invece non è mai stato un problema. Hanno fatto ricorso ad un trucco fiscale basato sul cosiddetto mantello delle assicurazioni sulla vita, che ancora oggi si può fare tranquillamente. Si tratta di una gestione patrimoniale, che può contenere immobili, azioni e fondi.

SZ: allora il Lussemburgo rinunciando al segreto bancario ha rinunciato a qualcosa che in realtà nessuno ha mai usato?


In linea di principio, sì. Il settore finanziario lussemburghese si è poi concentrato sui grandi beni e sulle società.

SZ: perché il Lussemburgo è interessante anche per le corporation? Il paese ad esempio è riuscito ad attrarre Amazon.

Fino all'uscita dei Lux Leaks le aziende talvolta pagavano lo 0,001 % di tasse, ovvero niente. E per le aziende tedesche il Lussemburgo si trova alle porte di casa. Possono arrivarci in un'ora di auto e poi fare una riunione. In Lussemburgo, inoltre, le decisioni si prendono alla svelta. Le aziende non devono aspettare molto quando hanno bisogno di registrare qualcosa. In Germania a volte servono mesi per ottenere una licenza. In Lussemburgo funziona tutto in maniera molto più rapida. L'amministrazione è cooperativa. Il Lussemburgo corteggia i contribuenti, anche se pagano poche tasse.

SZ: i Lux-leaks in Lussembrugo sono stati accolti in maniera alquanto negativa, spesso secondo il motto: i media stranieri ci trattano in maniera ingiusta. Perché i paradisi fiscali sono così sensibili alle critiche?

Non hanno alcun senso dell'ingiustizia quando evadono le tasse. Persino le aziende non hanno alcuna coscienza dell'ingiustizia che stanno commettendo. Stanno semplicemente cercando di generare il massimo rendimento possibile per i loro azionisti. L'ottimizzazione fiscale è una di queste strategie. Per loro non c'è alcun problema. I lussemburghesi sapevano cosa stavano facendo. Ciò che viene risparmiato fiscalmente in Lussemburgo, viene sottratto ad altri paesi.

SZ: l'evasione e l'elusione fiscale sono sempre più al centro della discussione politica. Stiamo andando verso una resa dei conti per i paradisi fiscali?

Nei paesi europei abbiamo aliquote fiscali diverse. Fino a quando nell'UE non si riuscirà a portare l'aliquota dell'imposta sulle società a un livello minimo uniforme, ad esempio il 18 %, anche in Europa avremo sempre dei tentativi di trovare delle scappatoie. C'è un'intera industria che se ne occupa - ed è ben pagata. Si tratta delle grandi società di revisione contabile che cercheranno sempre di trovare qualche soluzione per i loro clienti, sia nell'UE che nel mondo. La Commissione europea su questo punto avrebbe dovuto lavorare con piu' convinzione. Ma in Europa non succede molto perché per cambiare i regimi fiscali bisogna decidere all'unanimità. Malta, Cipro, i Paesi Bassi, e il Lussemburgo bloccherebbero tali leggi.

sabato 30 marzo 2019

Martin Selmayr – L'eminenza grigia di Bruxelles

Chi è Martin Selmayr? Nipote di due generali del terzo Reich, rampollo delle élite, prima lobbista di punta per Bertelsmann a Bruxelles e poi una rapida carriera alla Commissione fino al "colpo di stato" (cit.) del 2018. Oggi è l'uomo piu' potente nei palazzi del potere europeo, l'eminenza grigia accanto a Juncker, con un futuro radioso se Weber (CSU) dovesse diventare il nuovo capo della Commissione. Ne scrive Jens Berger sulle NachDenkSeiten



Jean-Claude Juncker probabilmente è noto a tutti i nostri lettori e anche il suo probabile successore, Manfred Weber, per molti è un nome familiare. Il nome di Martin Selmayr tuttavia dice qualcosa solo a pochi interessati. Selmayr - e su questo sono d'accordo i suoi amici, ma anche i suoi nemici - è l'uomo più potente d'Europa: conservatore, neoliberista, assetato di potere, un vero e proprio rampollo delle élite, che negli ultimi anni ha plasmato l'UE secondo le sue idee. Dopo le elezioni europee Selmayr potrebbe espandere ulteriormente il suo già enorme potere e quindi causare ulteriori gravi danni all'ideale di un'Europa democratica e trasparente. Di Jens Berger .

Chi cresce in un ambiente familiare come quello di Martin Selmayr, nella vita ha un certo vantaggio di partenza. Come nipote di due generali - il nonno Josef Selmayr faceva parte dell'organizzazione Gehlen ed è stato il primo capo del MAD - e figlio di un grande avvocato nonché Rettore dell'Università della Bundeswehr di Monaco di Baviera, Selmayr ha sempre avuto la quantità necessaria di vitamina B (raccomandazioni) nei geni. Dopo aver studiato legge a Ginevra, Passau, Berkeley e al Kings College di Londra, Selmayr è stato assunto dal gruppo editoriale Bertelsmann e lì nel giro di due anni è stato messo a capo della rappresentanza di Bruxelles, vale a dire lobbista capo di Bertelsmann all'UE. Ma è rimasto in questo posto solo per un anno. Nel 2004 il lobbista del gruppo editoriale ha saltato la barricata ed è diventato portavoce della Commissione europea per le telecomunicazioni e la politica dei media. Proprio a causa delle carriere fondate su questo sistema delle porte girevoli, l'UE è giustamente finita nel fuoco incrociato delle critiche.


Ad aprire le "porte girevoli" al conservatorie Selmayr però è stato un uomo per il quale i confini fra la politica e la lobby sono sempre stati molto incerti: Elmar Brok, dal 1980 deputato europeo per la CDU, dal 1992 incaricato per gli affari europei di Bertelsmann, per un periodo a capo della sede di Bruxelles e perfino "Senior Vice President media development" del gruppo - ovviamente sempre accanto "al suo mandato di parlamentare europeo". Su raccomandazione del suo collega Brok, Selmayr nel 2010 è diventato Capo di Gabinetto del Commissario UE lussemburghese Viviane Reding, che in piena coerenza, come secondo lavoro ha ottenuto un posto proprio nel Consiglio della Fondazione Bertelsmann.

Il salto di carriera successivo glielo ha preparato ancora Brok, che lo ha raccomandato al suo amico Jean-Claude Juncker come responsabile per la sua campagna di candidatura alla Presidenza della Commissione Europea.  Selmayr probabilmente è riuscito a tirare le corde giuste e dopo aver vinto le elezioni, Juncker lo ha nominato suo capo di gabinetto. Da quel momento in poi, il potente bavarese è diventato il "braccio destro" di un leader dell'UE segnato da seri problemi di salute e che nel giro dei funzionari di Bruxelles è conosciuto come il "Direttore della prima colazione" (senza potere reale). Selmayr già allora determinava più o meno direttamente ciò che il suo "capo" in seguito avrebbe implementato e simbolicamente guidava la sua mano su ciò che poi avrebbe firmato. Fra le autorità dell'UE Selmayr tuttavia si è fatto pochi amici. Secondo i resoconti basati su testimonianze di insider fatti dai corrispondenti da Bruxelles dei diversi giornali internazionali , Selmayr nei palazzi del potere sarebbe conosciuto come "figura odiosa", "Rasputin", "Mostro di Juncker" o "Mostro di Berlaymont" (palazzo Berlaymont è la sede della Commissione europea), ed è largamente considerato uno dei funzionari dell'UE meno amati della storia. Secondo i resoconti Selmayr guiderebbe l'ufficio del suo "capo" con mano ferrea, e sarebbe pronto a scavalcare i commissari europei responsabili anche su importanti decisioni della Commissione. Così ad esempio avrebbe dato il via libera ad Alexander Dobrindt e al suo "pedaggio autostradale per gli stranieri" - contrariamente a quanto prevedono le leggi europee - senza nemmeno aver consultato il commissario sloveno responsabile in materia di trasporto.

Numerosi giornali, come ad esempio la francese Liberation, hanno parlato del successivo salto di carriera di Selmayr come di un "colpo di stato". Sotto la protezione di Jean-Claude Juncker, il 21 febbraio 2018 Selmayr è stato nominato Vice Segretario Generale della Commissione Europea e solo un'ora dopo la nomina, nella stessa riunione della commissione, l'allora segretario generale ha annunciato le sue dimissioni, dopodiché il vice, che era in carica da nemmeno un'ora, è salito nella posizione piu alta della burocrazia dell'UE. Senza alcun bando, senza una discussione politica e senza la partecipazione del Parlamento, così è stato "nominato" il capo dei 33.000 dipendenti della Commissione europea e dei più importanti funzionari dell'Unione europea, da parte dell'uomo che da quattro anni si fa guidare la mano esattamente dalla stessa persona. Sì, lo si può chiamare  "colpo di stato".

La protesta c'è anche stata. Il Mediatore europeo ha presentato una denuncia, il Parlamento europeo ha votato con 368 voti a favore e 15 contrari una risoluzione che chiedeva le dimissioni di Martin Selmayr. Sfortunatamente il Parlamento europeo sulle questioni veramente importanti a Bruxelles viene ignorato. Il Commissario europeo responsabile per il bilancio e il personale alla fine è proprio Günther Oettinger, il quale è un conservatore neo-liberista della CDU e quindi è parte integrante del problema, non una soluzione. E' stato così che il "golpe" di Martin Selmayr ha avuto successo ed oggi egli è il numero uno indiscusso dell'esecutivo di Bruxelles, che come Segretario generale della Commissione europea ed eminenza grigia tira i fili alle spalle del gravemente malato Jean-Claude Juncker.

Sia che si tratti della militarizzazione dell'UE, della progressiva concentrazione delle competenze sulle direttive all'interno della opaca struttura di potere della Commissione europea, oppure della progressiva perdita di potere dei governi nazionali in materia di politica fiscale - il funzionario dell'UE Martin Selmayr è sempre al centro di queste decisioni. Raramente fino ad ora nell'Europa democratica e post-monarchica il potere era mai stato distribuito in maniera cosi' poco trasparente e anti-democratica. Non è solo il fatto che quasi nessuno conosca Martin Selmayr e lui come funzionario capo non è obbligato a rendere conto del suo operato davanti all'opinione pubblica. Molto peggio è il fatto che Selmayr non sia mai stato votato dal popolo in un'elezione e che i suoi vasti poteri non siano in alcun modo legittimati dalla democrazia classica.

Non è nemmeno così che ci libereremo alla svelta di Martin Selmayr. Perché è proprio il politico della CSU Manfred Weber, attualmente alla guida del gruppo PPE al Parlamento europeo, ad avere le maggiori possibilità di diventare il successore di Juncker. Quando il parlamento di Strasburgo con un'ampia maggioranza ha tentato di sfiduciare Selmayr, sono stati proprio i deputati del PPE gli unici a restare fedeli al Segretario generale. Weber è considerato privo di collegamenti importanti e soprattutto a livello di commissione è considerato come l'ultimo arrivato. Pertanto gli addetti ai lavori ritengono che senza l'Eminenza Grigia al suo fianco, Weber non sarà in grado di gestire l'eredità di Juncker. E politicamente i due ultra-conservatori Weber e Selmayr vanno perfettamente d'accordo: sono entrambi liberisti, entrambi atlantisti ed entrambi bavaresi. Da queste elezioni europee non possiamo aspettarci di avere più democrazia, più trasparenza o anche una politica più progressista. Il potere rimarrà probabilmente intatto - indipendentemente dal fatto che guidi la mano di Juncker o quella di Weber.



venerdì 15 settembre 2017

I paesi dell'Europa dell'est hanno una valida ragione per non ripetere l'euro-errore: il declino italiano

Juncker durante il discorso sullo stato dell'unione di mercoledi ha parlato dell'euro come destino comune per tutti i paesi UE. Holger Zschäpitz su Die Welt replica a Juncker scrivendo che i paesi dell'est avrebbero una valida ragione per non entrare nella moneta unica: l'esempio fornito dal declino dell'economia italiana iniziato con l'ingresso nell'euro. Holger Zschäpitz su Die Welt


Jean-Claude Juncker ha dei grandi progetti. "L'euro è destinato ad essere la moneta unica di tutta l'UE", ha detto il Presidente della Commissione europea nel suo discorso sullo stato dell'Unione Europea. E proprio alla moneta unica ha assegnato un ruolo centrale nell'ambito della riforma dell'Europa. Questa dovrebbe diventare qualcosa di piu' della valuta di un certo numero di paesi scelti. L'euro, secondo il messaggio di Junker, dovrebbe essere messo a disposizione di tutti.

Non ha del tutto torto. I trattati europei prevedono infatti che i paesi membri - con l'eccezione della Danimarca e della Svezia - diventino membri dell'euro-club dopo aver soddisfatto determinati criteri di convergenza. Il problema è solo uno: l'euro ha chiaramente mostrato che alcuni paesi non sono in grado di sopravvivere sotto il tetto di una moneta unica.

Gli anni passati non solo hanno disilluso i cittadini dei paesi membri, ma anche quelli dei paesi che aspiravano ad un'adesione. Cio' è emerso chiaramente anche durante la campagna elettorale tedesca. Tutti i partiti in grado di formare una coalizione si riconoscono sicuramente nell'Europa e si impegnano a trasferire ulteriori competenze all'UE. L'idea di Juncker di un euro per l'intero continente tuttavia non è in nessun programma elettorale.

Gli stati membri si sono sviluppati in direzione opposta

Per una buona ragione. Sicuramente l'euro dalla sua introduzione nel 1999 ha garantito molti vantaggi ai cittadini. Senza dubbio le transazioni transfrontaliere o i viaggi negli altri paesi dell'eurozona sono diventati piu' facili e quindi anche piu' economici. Tuttavia se l'obiettivo era quello di portare avanti l'integrazione dell'Europa attraverso l'euro, possiamo considerarlo un obiettivo fallito. Già dopo l'introduzione dell'euro le differenze fra i paesi membri hanno iniziato a crescere. E a partire dalla crisi finanziaria del 2008 i paesi membri si sono sviluppati in direzioni molto diverse.


Cio' è chiaramente visibile se si confronta il reddito pro-capite di Italia, Spagna e Germania. Prima del 1999 lo sviluppo era in parte sincronizzato. Dopo il cambio di valuta dalla Peseta all'euro la Spagna ha vissuto un boom mai conosciuto prima, mentre la Germania dopo aver abbandonato il Marco ha avuto una lunga fase di stagnazione. L'Italia a sua volta nei primi anni senza Lira ha continuato a crescere ma con discrezione. Il risveglio terribile è arrivato piu' tardi.

Senza dubbio tutti i paesi della zona euro durante la crisi finanziaria hanno subito una perdita in termini di ricchezza. Ma mentre la Germania ha rapidamente lasciato dietro di sé la crisi e ora sta vivendo una delle fasi di boom piu' lunghe della sua storia recente, l'Italia dopo diverse recessioni, sta lottando duramente per cercare di rialzarsi. La Spagna dopo una drammatica crisi causata dallo scoppio della bolla immobiliare è tornata a crescere.

L'euro come peccato

"Una moneta unica comporta inevitabilmente che le diverse economie si allontanino fra di loro: quelle piu' forti diventano sempre piu' forti, quelle piu' deboli sempre piu' deboli", dice Charles Gave, stratega presso il centro di analisi Gavekal Research. E' la classica concezione anglosassone, secondo la quale l'euro è una specie di peccato.

Secondo questa teoria, i paesi che non possono indebitarsi nella loro moneta, oppure che sono intrappolati in una valuta che non possono influenzare, sono di fatto ostacolati nel loro sviluppo e nella crescita della prosperità. Una moneta unica pertanto è adatta solamente a quei paesi che hanno cicli economici sincroni oppure che sono in condizione di adattarsi in maniera estremamente flessibile agli shock.


Addirittura la Finlandia è dovuta passare attraverso questa esperienza. Dall'inizio del nuovo millennio è stata infatti colpita da almeno 3 grandi shock: il declino del produttore di telefoni cellulari Nokia, la crisi dell'industria cartaria, un tempo fondamentale, e le sanzioni contro un importante partner commerciale quale la Russia. Sono stati tutti eventi esterni che non hanno inciso sugli altri membri della moneta unica. Poiché il paese non ha potuto svalutare la propria moneta, l'economia finlandese ha vissuto una lunga fase di stagnazione ed è finita dietro alla Svezia, che ha ancora la propria valuta. Ancora negli anni '90 la Finlandia, grazie ad una radicale svalutazione del Marco finlandese, era riuscita a superare in un periodo relativamente breve il collasso della Russia ed una importante crisi bancaria.

La Rep. Ceca non è piu' interessata all'euro

Molti paesi dell'europa dell'est, considerando queste esperienze, non hanno nessuna intenzione di abbandonare la propria flessibilità di cambio. In particolare la Polonia e l'Ungheria, grazie ad un forte deprezzamento dello Zloty e del Fiorino, sono riuscite ad assorbire gli effetti della crisi finanziaria. Secondo i trattati, infatti, già da tempo entrambi i paesi avrebbero dovuto essere parte della moneta unica, visto che per quanto riguarda i tassi, l'inflazione e l'indebitamento hanno già raggiunto da tempo i criteri di convergenza.


La situazione è ancora piu' marcata nella Repubblica Ceca. Il paese è l'allievo modello tra gli aspiranti all'adesione. L'agenzia di Rating Fitch prevede che i cechi quest'anno avranno addirittura un avanzo di bilancio. E anche per quanto riguarda l'indebitamento pubblico, il vicino dei tedeschi, con un 35% in rapporto al PIL, è chiaramente al di sotto del limite del 60%.

Come primo stadio per l'adesione alla moneta unica Praga da molti anni aveva agganciato la corona all'euro. Ma in primavera i cechi hanno fatto un passo indietro sulla strada verso la moneta unica ed hanno rinunciato all'aggancio monetario. Gli esperti lo hanno interpretato come un chiaro segnale del fatto che il paese non è piu' interessato ad una rapida adesione all'euroclub. Sebbene lo sviluppo della vicina Slovacchia abbia chiarito che l'adesione - il paese è un membro dal 2009 - non è necessariamente dannosa. Il paese, un tempo la zona piu' povera della ex Cecoslovacchia, dall'adesione ha avuto uno sviluppo economico migliore della Repubblica ceca.

Juncker ha una soluzione pronta

I paesi membri UE Bulgaria, Romania e Croazia al contrario sono ancora ben lontani dai criteri di convergenza. Mentre la Romania con il deficit è alquanto indietro e la Croazia con una quota di debito dell'82% sul PIL sta lottando, dal punto di vista economico il vero fanalino di coda dell'UE è la Bulgaria. Per quanto riguarda il reddito pro-capite, che tuttavia non è un criterio formale per l'adesione all'euro, il paese resta al di sotto del 50% della media europea.

Ma anche per questo problema Juncker sembra avere una soluzione pronta. Chiede la creazione di uno strumento per l'ingresso nell'euro che preveda l'assistenza tecnica e finanziaria ai futuri membri dell'euro. Sarebbe ancora una volta la tipica soluzione europea: voler guarire tutti i problemi con la maggior quantità di denaro possibile e con dei programmi di salvataggio.